La potente corporazione dei beccai realizza il pelatoio (macello) e la beccheria (macelleria) a pochi passi dal Palazzo comunale, nell’attuale piazza Gramsci. Cattivi odori, urla di animali macellati, sangue e carcasse di bestie sono tollerati fino al 1334, quando gli statuti obbligano a recintare con un muro il “giardino dei beccai”. Si macella lontano dalla vista e poi si mette subito in vendita la carne, perché non si deteriori, nei banchi posti sul fronte della beccheria, sulla via Emilia.

Per continuare la spesa, ci si sposta nell’adiacente Campo S. Paolo, dove i fruttivendoli tengono il mercato delle erbe, delle uova e del pollame, e dove commerciano fornai e pescivendoli, con pesce sempre fresco perché ogni sera ai pesci invenduti è amputata la coda da ufficiali del comune affinchè non siano riproposti il giorno dopo. Per carne e formaggi stagionati ci si reca dai lardaroli, sotto il portico del palazzo “vecchio”.

Intorno a piazza Maggiore vi sono negozi di beni più pregiati: sul lato est, dove oggi è palazzo Sersanti, si vende il sale; sul lato nord, sotto il lungo portico che costeggia la via Emilia, si trovano i merciai, per panni e stoffe, e gli speziali, che propongono merci di drogheria, erboristeria e farmacia.

Le spezierie si situano vicinissime all’Ospedale dei Devoti.


Il giardino dei macellai deve essere chiuso. Bim, ASCI, Statuti, libro IV, rub. 41.

"De giardino becchariorum murando"
"Sulla chiusura del giardino dei macellai"

Le macellerie cittadine (le beccherie) hanno sede nell'attuale piazza Gramsci e la macellazione degli animali avviene nel pieno centro della città, causando odori, rumori e sporcizia. Il fetore che turba chi passa da quelle parti e che pervade la città non è più tollerato dall'autorità cittadina. Gli Statuti del 1334 impongono alla corporazione dei macellai, sotto la pena di 100 lire di bolognini, di recintare l’intera zona, chiamata "il giardino dei beccai", con un muro.


Matricola delle arti del 1272. Bim, ASCI, Pergamene, mazzo III, n. 94, "Liber societatum civitatis Imole".

La Matricola delle arti del 1272 è il registro che custodisce i nomi degli appartenenti alle corporazioni di mestiere della città di Imola: i giudici con medici e notai, i macellai (beccai), gli agricoltori con i trasportatori (birocciai), i calzolai, i falegnami con i muratori, i lavoratori della canapa, i mercanti, i conciapelli, i fabbri. Per ogni corporazione vi è la lista dei cittadini iscritti, anche se non tutti gli iscritti svolgevano effettivamente quel mestiere. Far parte di una corporazione di mestiere è requisito indispensabile per partecipare alla vita politica e, pertanto, anche gli esponenti di nobili famiglie s'iscrivevano ad una corporazione per avere accesso alle cariche pubbliche.


Il nonno di Benvenuto Rambaldi da Imola è iscritto nella Matricola delle arti del 1272. Bim, ASCI, Pergamene, mazzo III, n. 94, c. 7r.

Fra gli iscritti della corporazione dei calzolai è presente il nome di "dominus Anchibene Rambaldi", nonno di Benvenuto Rambaldi da Imola (Imola, 1330-Ferrara, 1388), letterato e docente, uno fra i primi e più autorevoli commentatori della Commedia di Dante.