Convocati in piazza il pomeriggio del 10 giugno 1940, gli imolesi accorrono ad ascoltare dagli altoparlanti il discorso del duce che va in onda alla radio alle ore 18.
Ci sono anche studenti, chi in abiti civili, chi nelle divise delle organizzazioni giovanili del regime.

Il duce annuncia che l’Italia entra in guerra contro Gran Bretagna e Francia.
Nel settembre successivo l’Italia firma il patto con Germania e Giappone formalizzando l’alleanza tra i paesi conosciuta come Asse, alla quale si oppongono le potenze note come Alleati, guidate da Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica.

Col resto d’Italia Imola scivola dentro la guerra giorno dopo giorno. Mutano poco alla volta i contesti quotidiani della vita con il razionamento alimentare (1), l’oscuramento (divieto di accendere la luce la sera e la notte) (2), gli allarmi aerei. Le scuole elementari Carducci si trasformano, come già nella grande guerra, in ospedale militare.

Già dopo qualche mese di guerra, cominciano ad arrivare telegrammi che annunciano la morte dei soldati imolesi in Cirenaica, in Tripolitania, in Grecia, in Jugoslavia, in Russia (3); qualcuno viene dato per disperso, qualcuno è stato fatto prigioniero.

In città i giardini, i parchi, le aiuole vengono trasformati in “orti di guerra” per sopperire alla mancanza di generi alimentari (4, 5, 6).

Le industrie principali, come la Cogne (7), la Caproni, l’Orsa, la Dalmata, convertono la loro produzione a favore dell’industria bellica.

L’alimentazione è razionata e regolata tramite le tessere annonarie. Si sviluppa il mercato nero con il conseguente aumento vertiginoso dei prezzi.

L’esigenza di incrementare l’industria bellica, attingendo solo alle risorse nazionali (autarchia), induce i podestà a emanare proclami di requisizione di manufatti di rame, a esclusione del paiolo per la polenta (8).

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