I ricettari non sono una scoperta moderna.
La raccolta di ricette più famosa dell’antichità romana è il "De re coquinaria", il cui presunto autore si identifica in Celio Apicio.

I manuali iniziano a fiorire nel Medioevo, prima in latino e poi in volgare, ma è soprattutto dal Rinascimento che conoscono una particolare fortuna, con ricettari come quello di Bartolomeo Scappi, di Cristoforo Messisbugo, di Domenico Romoli. I libri di cucina dei secoli successivi sono influenzati dalla cultura gastronomica francese, anche nella terminologia. Alla fine del ‘700 spicca l’Apicio Moderno di Francesco Leonardi.

Una svolta arriva con Pellegrino Artusi, nato a Forlimpopoli 200 anni fa: la "Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene" (pubblicata nel 1891 e poi ampliata in quattordici edizioni successive) ha una straordinaria fortuna e costituisce un modello di cucina “nazionale” basato sulla condivisione delle tradizioni locali italiane. Sempre un romagnolo, Olindo Guerrini, in arte Lorenzo Stecchetti, è autore di un ricettario, "L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa" (1918), dedicato al riutilizzo dei cibi.




Celio Apicio, De Re Culinaria libri X. Basilea, 1541

Il gastronomo Celio Apicio (I sec. d. C.) è il presunto autore latino dell’unica grande collezione di ricette sopravvissuta dal mondo antico. Il suo "De Re Culinaria"  fu utilizzato per gran parte del Medioevo e rilanciato in età umanistica, nell’ambito della riscoperta dei classici. L’edizione riunisce l’opera con quella di Bartolomeo Sacchi, umanista, conosciuto come Platina, che, nel suo "De honesta voluptate", gettò le basi della moderna letteratura gastronomica.



Cristoforo da Messisbugo, Libro nuouo nel qual s'insegna il modo d'ordinar banchetti, apparecchiar tauole, fornir palazzi, & ornar camere per ogni gran Princip. Et far d'ogni sorte di viuanda secondo la diuersita de i tempi, cosi di carne, come di pesce. Aggiuntoui di nuouo, il modo di saper tagliare ogni sorte di carne, & vccellami, In Venetia, appresso Marc'Antonio Bonibelli, 1596

Uno dei maggiori ricettari di età rinascimentale, famoso non solo sul piano gastronomico ma anche come documento degli usi conviviali nelle corti dell’epoca. Messisbugo, che era intendente generale di cucina alla corte degli Este a Ferrara, si sofferma anche a descrivere il contesto artistico, teatrale e musicale in cui si svolgevano i banchetti signorili.



Domenico Romoli, La singolar dottrina di M. Domenico Romoli detto il Panonto nel qual si tratta dell’officio del scalco, del condimento di ogni vivanda, delle stagioni di ogni animale, In Venetia, presso Daniel Zanetti, 1598

Domenico Romoli, detto Panunto, nobile fiorentino, servì come “Scalco” presso la corte di papa Leone X e presso famiglie cardinalizie romane. La singolar dottrina contiene la descrizione delle mansioni e qualità dello scalco, ricette, menù e prescrizioni di carattere medico e nutrizionale sugli alimenti.



L’arte di far cucina di buon gusto ove si insegna con facilità a cucinare ogni sorta di vivande sì in grasso che in magro, Torino, presso Francesco Prato, 1793

Stampato a Torino nel 1793 da autore anonimo, questo testo di pratica per il cuoco e il confetturiere è dedicato a cuochi e cucinieri ma anche a quelle “persone cittadine” che si dilettano di saper ben cucinare.



Francesco Leonardi, Apicio moderno, In Roma, nella stamperia del Giunchi, 1807

Quest’opera in più volumi si può considerare un classico della cucina italiana. Stampata per la prima volta a Roma nel 1790, è fortemente debitrice del modello gastronomico francese ma conferisce anche importanza alle tradizioni locali, secondo un modello che risale al Rinascimento. L’attribuzione delle ricette a singole città o regioni (“alla napolitana”, “alla genovese”, “alla siciliana” ecc...) preparano il terreno al programma di unificazione della cucina italiana di Pellegrino Artusi, che non sarà mai omologante ma sempre pensato come condivisione delle diversità.



Francesco Leonardi, Gianina ossia la cuciniera delle Alpi, Roma, 1817

Questo testo racconta, con gusto romantico, la singolare storia della locandiera Gianina che alla sua morte lascia al figlio un ricettario manoscritto frutto della sua pluriennale attività. L’opera si inserisce nel filone dei trattati di cucina locale, che dagli ultimi decenni del XVIII secolo costellano la produzione libraria italiana.



Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie. Firenze, Tip. Di Salvadore Landi, 1905

Si tratta dell’ottava edizione delle quindici pubblicate in vita dell’autore tutte progressivamente aggiornate. Le ricette passano dalle 475 della prima edizione alle 790 dell’ultima, pubblicata postuma. Il suo manuale è considerato la prima trattazione gastronomica dell'Italia unita.



Madame Seignobos, Comment on forme une cuisinière, Parigi, Librairie Hachette et cie..., 1910



Olindo Guerrini (i. e. Lorenzo Stecchetti), L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa, Roma, A. F. Formiggini, 1918

L’economia, il risparmio, l’attenzione alla spesa: a partire dall’800 i trattati di cucina non si rivolgono più ai cuochi professionisti a servizio delle corti nobiliari, ma alle donne di casa e alla servitù domestica delle classi medie. Niente a che vedere con la cultura aristocratica dell’ostentazione della ricchezza. Lo sciupìo è da bandire e i prodotti locali, più economici e facilmente reperibili, sono preferiti a quelli esotici e costosi.



Vanna Piccini, Scrigno d'oro: consigli, segreti, ricette per la donna, Milano, Ed. “Per te, donna”, 1936



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